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Alpe Servizio: la montagna rivive

Testo e foto di Irene della Morte

Alla scoperta di un luogo incontaminato dove la natura regna sovrana.

Gli alpeggi, lontani dal turismo di massa, dal traffico, dalla frenesia della vita moderna, dopo un lungo periodo di abbandono causato dal sopravvento della modernità, stanno lentamente prendendo voce in capitolo. Gli alpeggi hanno bisogno della nostra attenzione per poterci regalare la suggestione dei tempi remoti, quando i nostri antenati si spezzavano la schiena per vivere abbracciati alla montagna.

L’Alpe Servizio (o Alp de Sarvizi, esatto toponimo), è uno di questi antichi luoghi, nato nella notte dei tempi per volere e necessità della “sgent” di Prestone, Pietra e Portarezza (tre frazioni di Campodolcino), che per poter sopravvivere e assicurare fieno al bestiame, caricavano l’alto pascolo nei mesi estivi. Posto a 1953 metri d’altitudine, l’ampio e bucolico pianoro in quel di Servizio è tutt’oggi un impareggiabile anfiteatro incuneato nelle pieghe della montagna, sotto lo sguardo vigile dell’imponente piramide del Pizzo Quadro. Un buon numero di baite, oggi purtroppo mucchi di pietre abbandonate, rievocano in maniera impressionante la presenza umana delle stagioni estive quando i nostri avi portavano lassù bestiame e bambini, a seconda della manodopera femminile disponibile. Perché erano le donne che più di tutti si occupavano degli animali e, anche prossime al parto, badavano al governo dell’alpeggio domestico. Con Alpe Servizio si intende in particolare il piccolo nucleo dell’abitato: il territorio in sé è più complesso, composto da altre “frazioni” (Colvedro, il Motto, Corte S.Pietro, la Croce, il maggengo di Servizio Basso), dislocate su diversi livelli, formate da più piccoli gruppi di fabbricati costruiti con la tecnica antica dei “Carden” e destinati a vari scopi, come per esempio i fienili, usati nelle stagioni intermedie, ed i caselli. 

La vasta ed incontaminata area circostante al centro rurale è caratterizzata da una fauna alpina doviziosa di cervi, stambecchi, camosci, marmotte e misteriosi uccelli selvatici, poi innumerevoli specie botaniche: una vera festa per gli occhi, soprattutto d’estate. Foreste di conifere lasciano spazio più a nord ad acque correnti e all’incantevole laghetto alpino collocato a metà percorso tra l’Alpe Servizio e l’omonimo bivacco a 2584 mt di quota. Il ventaglio di cromie si mescola alle suggestioni dei suoni, profumi e gusti: una full-immersion nella natura autentica. Negli anni addietro, quando l’economia in montagna era di puro sostentamento e si mangiava ciò che si produceva (latte, formaggio, polenta, patate, erbe selvatiche…) uno sfruttamento intelligente e un’organizzazione accurata erano di vitale importanza per ottenere il massimo rendimento. I “regolamenti d’alpe”, erano dettati appunto da questa necessità. Il primo “regolamento d’alpe” in Servizio risale al 1881. Con questo atto notarile i valligiani regolamentavano e stabilivano come era bene svolgere la vita in alpeggio a vantaggio di tutti. Il territorio era diviso in proprietà private. Nel regolamento si stabiliva, in base ai possedimenti di terreno di ciascun proprietario quanti capi poteva portare in alpeggio (il cosiddetto sistema delle “vaccate” o delle “erbate”). Una manza, per esempio, mangiando di più necessita di 1 erbata, per una capra ne basta 1/8. Erano assolutamente esclusi dal pascolo (e lo sono tuttora), i cavalli, le pecore ed i buoi. Veniva inoltre stabilita la data prima della quale era vietato “caricare” l’alpe. Di comune accordo era deliberato che “il fitto annuo di una vaccata d’erba sia di lire 12” e che “ la contravvenzione per ogni capo in eccesso sia pari a lire 5”. Questo sistema permetteva un’equilibrata gestione della presenza sul territorio e preservava i pascoli da un eccessivo sfruttamento. I garanti di questi regolamenti erano i Messi, coloro che si occupavano di amministrare al meglio l’alpeggio. 

Un filo magico e sempre più sottile collega il passato ed il presente di questo idilliaco alpeggio poco conosciuto: la presenza gioconda di bambini e ragazzi. Sentire le voci e le risate di decine di scout che ancora oggi, in estate, almeno per un week-end (ma per quanto ancora?) guizzano scalzi nel vicino torrente, che piantano le tende sull’ampio pianoro, che giocano a nascondino dietro l’arbusto del rododendro richiama l’infanzia dei bambini pastori che, attraverso il gioco-lavoro sull’alpeggio, venivano iniziati alla fatica e alla responsabilità. Era la montagna in sé ad esportare istruzione. In una prospettiva eco-evolutiva questo paesaggio alpino va considerato in base agli interessi degli insider e degli outsider, tra le ragioni degli abitanti locali e le attese di coloro che vengono da fuori che scaricano sulla montagna i propri bisogni di verde, di natura, di loisir. “La sera, la luna faceva da lampione. Sotto il firmamento, al termine di una lunga giornata lavorativa tra stalla, vacche, prole e preparazione del formaggio, adulti e bambini, ci si trovava a pregare e chiacchierare. Poi i più piccoli, circa una trentina, si divertivano a far schiamazzi, a rotolarsi nell’erba, a ridere a contatto con la natura. Ogni pietra lassù custodisce un aneddoto.
Per ogni baita che verrà ricostruita, una vita di fatiche ringrazierà”. Così racconta una nostalgica veterana dell’Alpe. Dovremmo prendere coscienza che la vita, la cultura, l’appeal degli alpeggi, specialmente quelli che vengono ancora caricati da malgari locali, come è il caso dell’Alpe Servizio, possono essere valide premesse per un turismo ecologico, ad alto potere educativo, non solo per i più piccoli. 

Nessuno potrà restituirci ciò che è andato perso. Ma l’incontaminata natura, le risorse, le emozioni che l’Alpe Servizio è ancora in grado di regalarci, insieme al lavoro e ai sacrifici degli ultimi alpigiani e casari rimasti, lanciano una sfida all’indifferenza umana - forse l’ultima - e chiedono responsabilità da parte di enti, istituzioni e amanti della montagna, per continuare a vivere. Decine di baite attendono di essere ristrutturate, i sentieri che dalla frazione di Portarezza (Campodolcino) – (It. C22) o più comodamente da Starleggia (It. C24) conducono all’Alpe Servizio, passando per stupende vedute, necessitano manutenzione per non venire fagocitate da massi e arbusti; le malghe hanno bisogno di servizi, comodità e adeguata tutela, la pista tagliafuoco, importante collegamento con la valle, i cui lavori sono stati interrotti, attende d’essere ultimata per favorire la rivalutazione di ciò che l’abbandono ha surclassato, lo stesso cuore dell’Alpe, batte a fatica, per mettersi ancora a servizio di un’ampia gamma di attori (turisti, alpinisti, alpigiani, agricoltori). Nell’anno guanelliano è bene allungare metaforicamente lo sguardo verso orizzonti oltremodo meritori: l’Alpe Servizio dal davanzale della fortunata collocazione geografica permette ai suoi ospiti di ammirare lo scenario “beato” ove il neosanto Luigi Guanella venne alla luce il 19 dicembre 1942, ovvero il ridente paesello di Fraciscio, seduto sulle ginocchia del Pizzo Stella. Nell’operetta “Il Montanaro”, Luigi Guanella, riferendosi alle sue amate montagne, scrisse: “il giogo del tuo monte è sublime, perché di là si contempla più da vicino il bel paradiso. Il profondo delle tue valli è sacro, è perché nel ritiro della solitudine si impara meglio ad amare il Signore, a meglio voler bene al prossimo…”. 

Le immagini che fanno da corredo a questo servizio, auspico possano suscitare, anche in chi ha poca dimestichezza con la materia, il desiderio di una maggiore coscienza, che renda più consapevoli ed aiuti ad apprezzare le bellezze della montagna e l’intelligenza dell’uomo, con la fiducia che il riconoscimento del bello intorno a noi è l’inizio di ogni abbondanza.


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